Nella cultura contadina, la strazzata era invece una pietanza speciale da riservare alle cerimonie nuziali, considerate le più importanti delle feste perché oltre a sancire una nuova unione favorivano l’incontro – e quindi potenziali ulteriori matrimoni – tra i giovani del posto.
A casa della sposa, a metà mattina del sabato, ai parenti del marito veniva distribuita in segno di accoglienza proprio la strazzata, imbottita con prosciutto e pecorino o provolone podolico e accompagnata dai taralli al finocchietto e dai m’stazzuol, taralli dolci ricoperti di zucchero. Il rito si ripeteva poi ad ora di pranzo, a casa dello sposo, dove stavolta ad essere serviti erano i familiari della moglie.
Farcire copiosamente la STRAZZATA significava dimostrare alla famiglia del futuro consorte di possedere una buona posizione economica, perciò le due parentele facevano quasi a gara per preparare il panino più ricco. Anche il pepe veniva unito all’impasto senza riserve: più ce n’era e più lo stimolo della sete, naturalmente, aumentava.
Bisogno che veniva placato con i vini dolci del luogo – come l’Acerenza e il Maschito –, che gli invitati bevevano direttamente dai fiaschetti, quasi a voler dimenticare le privazioni della vita quotidiana. Con il tempo il consumo della strazzata fu esteso anche ad altri momenti di festa, come comunioni e cresime.